Lo chef a domicilio e’ una figura sempre più richiesta specie oltre oceano dove, grazie a piattaforme on line specializzate nel mettere in contatto domanda e offerta, sempre più diffusa è la tendenza a rivolgersi a cuochi professionisti per la preparazione, su ordinazione, di pranzi e cene direttamente a casa dei clienti.
Ma giuridicamente come si può qualificare il rapporto tra cliente e professionista?
Su incarico del cliente che gli affida l’incarico e dietro corrispettivo, determinato generalmente in funzione del numero di portate e di ospiti, il cuoco a domicilio prepara il pranzo o la cena nella cucina del padrone di casa, utilizzando propri ingredienti e strumenti di cucina (a meno che non sia il cliente ad occuparsi della spesa e a porre a disposizione le relative attrezzature), provvedendo alla scelta delle bevande, nonché, ove richiesto, all’organizzazione di servizi aggiuntivi, quali la mise en place e/o il servizio al tavolo.
Nel nostro Paese non è ancora stata approvata una specifica disciplina.
Si ritiene tuttavia che tale attività rientri tra quelle di somministrazione disciplinate dalla Legge n. 287/1991 e s.m. e dalle normative adottate dalle singole regioni per disciplinare, sul proprio territorio e in piena autonomia, coloro che operano nel settore somministrazione di alimenti e bevande.
In particolare lo svolgimento di tale attività richiede al cuoco a domicilio il possesso di partita iva - codice Ateco 56.21.00, che fa riferimento a “Catering per eventi, banqueting” - della certificazione HACCP (regolamento CE n. 852/2004 sull’igiene dei prodotti alimentari), a garanzia del rispetto delle norme di igiene e salute alimentare e il conseguimento dell’abilitazione alla somministrazione di alimenti e bevande a domicilio (SAB).
Author: Alessandro Klun
(@acenacondiritto)
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