Se esaminiamo attentamente l'attuale panorama del turismo globale, emergono notevoli parallelismi tra i vari turisti, superando distinzioni di carattere sociale e culturale. Un elemento unificante è l'essenziale necessità di soddisfare il proprio appetito. Indipendentemente che il viaggio sia dettato da motivazioni religiose, sportive, lavorative o d'affari, la pausa per il nutrimento si rivela ineluttabile. A ciò si aggiunge il caso di coloro che intraprendono un viaggio con l'obiettivo primario di immergersi nelle usanze culinarie, nelle specialità e nei piatti tipici di una nazione straniera: è il noto concetto di turismo enogastronomico.
L'atto di mangiare, a ogni livello di esperienza, assume un ruolo cruciale, sia che avvenga su una spiaggia, sulla cima di una motagna, oppure durante l'osservazione dei più grandi monumenti. In quest'epoca caratterizzata dal turismo di massa, il cibo può agire come complemento di una vacanza o fungere da spinta motivazionale per intraprenderla. Richiamando le riflessioni appartenenti a un saggio intitolato "Il Selfie del mondo", dedicato al fenomeno turistico, il cibo acquisisce una connotazione di meta da esplorare, analoga all'osservazione di un affresco.
Questa prospettiva conduce, però, a un fenomeno di "commercializzazione turistica" della cucina che, con una portata senza precedenti, si avvolge in un linguaggio a tratti eccessivo, svuotando concetti come "radici culturali", "genuinità" e "autenticità" del loro significato profondo. A tale riguardo, sorge la necessità di riflettere se tale dinamica arrechi effettivamente vantaggio alla ricchezza culinaria di una nazione.
E voi cosa ne pensate ?
Scritto da Emanuele Falcinelli
(CEO Founder Chefetto.net)
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