La scalata che da qualche anno sta facendo il robot da cucina, alla conquista dei fornelli d’ Italia non è certo cosa nuova, e di sicuro non lascerà esterrefatta l’opinione pubblica. Perché l’ascesa silente di questo nuovo modo di approcciarsi alla cucina è tanto efficace quanto giustificata da una variabile che sarà centrale in questo articolo, che storicamente è stata in grado di modulare usi e costumi intorno alle modalità con cui l’uomo si è approcciato alla cucina, ma che per adesso lasceremo da parte.
Nel pieno stile filoamericano, che in molti ambiti, dal dopoguerra in poi, ha caratterizzato e caratterizza le scelte degli italiani, si sta affermando questo nuovo modo di intendere la cucina di tutti i giorni. Un modo veloce, pulito e che non tradisce, almeno all’apparenza, gusto e tradizione (spesso erroneamente intesa come ferma e immutabile). Non è per tanto da sottovalutare il fatto che questo nuovo approccio si stia affermando in un paese, l’Italia, in cui l’attaccamento agli usi che storicamente si sono formati intorno al modo di mangiare e di preparare da mangiare, è quanto di più radicato esiste. Perché se da una parte la necessità di essere efficienti e veloci nel preparare e mangiare sta diventando sempre più impellente, dall’ altra è bene capire come l’analisi di un fenomeno non trascende dal contesto in cui è inserito, e l’Italia, non dirò con questo una cosa nuova ma permettetemi la digressione, è il luogo per eccellenza antitetico a questi principi. Le tradizioni legate all’enogastronomia italiana, e la storia ci viene in aiuto in questo, sono spesso figlie di lunghe attese, di lente maturazioni, di tempi lunghi e cadenzati e di gestualità precise, studiate e autenticamente rilassate. Il tempo, quindi, è secondo me la chiave di lettura migliore di questo scontro culturale, perché oggi ci muoviamo in un contesto in cui, in un’ottica capitalistica e consumistica, il tempo è la prima cosa che ci viene tolta, e non si può trascendere da questo per analizzare le tradizioni gastronomiche che verranno.
Ci troviamo quindi davanti ad un bivio: da una parte le tradizioni di domani che si costruiranno su una disponibilità di tempo sempre minore, dall’altra la storia, che ci ha insegnato quello che è stato e da cui è spesso complesso staccarsi.
Sarebbe facile a questo punto dare una direzione giusta e indicare quella sbagliata, ma come spesso accade la cosa più corretta sta proprio nel giusto compromesso e si può riassumere in una parola: consapevolezza. Bisogna conquistare la consapevolezza che le tradizioni enogastronomiche di domani non saranno quelle di oggi, perché si fonderanno su nuovi contesti ma allo stesso tempo è fondamentale curare e conservare gelosamente ciò che è stato fatto prima di noi, perché un futuro che non ha basi solide, si sgretola troppo facilmente. Non esiste, quindi, una risposta semplice perché questo è di fatto un problema complesso, ma è l’unica strada che abbiamo per raggiungere la tradizione gastronomica di domani con la consapevolezza che serve affinché il futuro che si costruirà sia quanto più solido e autentico possibile.
Scritto da;
Luca Molinari | Food Culture Writer
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